Nataraja

Nataraja è una divinità induista. Il significato letterale del nome Nataraja è “il Signore della Danza”; la Ananda Tandava, ovvero la “Danza della Beatitudine”, nella quale l’universo è creato, conservato e distrutto, e tramite cui Shiva vuole liberare l’umanità dai vincoli del samsara. Illusione e liberazione dipendono entrambe da questa danza quindi. Il chiaro riferimento alla dimensione del “movimento” presente nel nome ci suggerisce anzitutto come si stia parlando di una rappresentazione simbolica legata principalmente al principio yang della Consapevolezza, piuttosto che allo yin del Vuoto. Nataraja è infatti una rappresentazione particolare del dio Shiva, il quale insieme a Vishnu e Brahma compone la celeberrima trinità induista (la Trimurti, che significa “dotato di tre aspetti”… in riferimento al Divino: lo stato naturale). Se Shiva (il Distruttore) è legato al principio del movimento incessante – la Legge inesorabile per cui ogni cosa sorge e svanisce ciclicamente in un eterno divenire – Vishnu (il Conservatore) rappresenta il vuoto nel quale tutto ciò avviene e dal quale tutto ciò è pervaso (il significato letterale del nome è proprio “il pervadente”). Brahma, il Creatore, non è altro che la manifestazione, naturale espressione di questi due principi fondamentali. Sappiamo inoltre che la realtà è mentale, e che quindi è la mente il “creatore” di cui si sta parlando; la “manifestazione” si costituisce allora di pensieri e di emozioni. Queste tre divinità rappresentano i Tre Principi Essenziali, che integrati fra di loro definiscono lo stato risvegliato: Vuoto (Spirito), Consapevolezza (Energia) e Manifestazione (Corpo).

Questo ruolo di Shiva all’interno della simbologia relativa alla Trimurti, non deve però trarre in inganno rispetto alla portata della sua rappresentazione chiamata Nataraja. Stiamo infatti parlando di un simbolo “completo”, in grado cioè di esprimere appieno la questione della natura della mente. Da un lato vediamo come il principio del “movimento” sia anzitutto legato alla questione dell’impermanenza; non è infatti l’eterno ciclo di alternanza fra morte e vita la “danza” a cui si fa qui riferimento? L’effettiva conoscenza di questa Legge di “eterno ritorno” a cui è soggetta la manifestazione mentale, disvela così la vacuità propria del movimento incessante della coscienza, il quale non conduce in nessun luogo e a nessun conseguimento che non sia di fatto solo un’illusione dell’io. Possiamo allora individuare anche il principio del Vuoto in questa particolare rappresentazione di Shiva. “Vuoto Movimento”: questo è sopra di ogni cosa Nataraja. Tale concetto si esprime chiaramente nei due elementi fondamentali di cui si compone il simbolo: la divinità danzante al suo centro (la Consapevolezza) e il cerchio perfetto dentro cui essa si colloca (il Vuoto). Non è finita qui: abbiamo visto poco sopra come Nataraja rappresenti uno dei Tre Principi Essenziali che insieme definiscono lo stato naturale di ogni essere senziente, nella simbologia della Trimurti indù. Vediamo ora però, come tutti e tre questi principi sono in realtà contenuti in quest’unica rappresentazione: oltre al Vuoto (Spirito) e alla Consapevolezza (Energia) troviamo infatti anche l’elemento della Manifestazione (Corpo), espresso dalle fiamme luminose emanate dal cerchio dentro al quale si manifesta il principio consapevole. Tali fiamme sono 29 e si alternano con due colori diversi: il “due” definisce in essenza l’esperienza mentale relativa che ordinariamente sperimentiamo nella nostra esistenza samsarica, mentre “ventinove” sono i giorni di cui è composto il mese lunare. La “Luna” non è altro che l’espressione manifesta (forme e contenuti, pensieri ed emozioni) dell’essenza della mente (il “Sole”, vuoto e consapevole), che in sé è priva di limiti e al di là della dualità. Dalla riunificazione della “Luna” (la mente relativa) col “Sole” (lo stato naturale) dipende la Liberazione; condizione rappresentata alla perfezione da Shiva Nataraja.

Nella parte più alta del “cerchio” troviamo una fiamma più alta rispetto alle altre ventotto. Tale simbolo rappresenta lo stato naturale: la “luce” originaria, solare, di cui le luci lunari sono soltanto un riflesso. In questo senso possiamo vedere come in realtà esista solo lo stato naturale: un unico “fuoco” che si riflette nella molteplicità della realtà relativa, rappresentata da 29 “fiamme” distinte ma che in fondo sono sempre la stessa. Il “fuoco” della Natura Prima quindi, pervade ogni cosa. Il simbolo del cerchio, associato anzitutto al principio yin, può così essere visto anche come un sole fiammeggiante, vuoto e luminoso; principio yang, immutabile, che trova il suo complementare nella mutevolezza yin della manifestazione, rappresentata dalla figura danzante al centro. Tutto è al contempo vero e falso nella realtà relativa, per questo ci troviamo continuamente di fronte ad un infinito gioco di specchi fra yin e yang al momento in cui cerchiamo di “catturare” la natura essenziale delle cose attraverso la mente concettuale (opinioni, categorie, giudizi,…). Ognuna delle 29 fiamme che circondano la figura di Nataraja, è inoltre costituita da 5 lingue di fuoco: in questo modo si vuole simboleggiare la sostanziale unità dei Cinque Elementi (Spazio, Fuoco, Aria, Acqua e Terra) di cui si compone la realtà relativa. Il cerchio di fuoco (prabhāmaṇḍala) che circonda l’immagine rappresenta anche la sacra sillaba Oṃ: il suono da cui origina l’universo.

Sotto ai piedi di Nataraja si trova, calpestato, un nano. Esso simboleggia l’ignoranza della propria vera natura, l’assenza di memoria rispetto ad essa. Chi ignora la propria condizione naturale è quindi destinato a restare vittima dell’inesorabile Legge d’impermanenza, rappresentata dal corpo danzante di Shiva, e soggetto così alla sofferenza causata dall’eterno alternarsi di nascita e morte, del “bene” e del “male”. Questa figura impugna nella mano destra un coltello e nella sinistra un cobra vivo. Il serpente non è stato ancora decapitato; ciò significa che l’Io non è ancora stato “tagliato” via. L’Io esiste unicamente come somma degli attaccamenti che abbiamo nei confronti della manifestazione: l’unico modo per affrancarci dalla sofferenza provocata dall’impermanenza della manifestazione, consiste quindi nel recidere l’attaccamento, e la sola “lama” in grado di fare ciò è lo stato naturale.

Il nano dell’ignoranza viene calpestato dalla gamba destra di Nataraja, quella “attiva”, a rimarcare da un lato il ruolo che la Legge d’impermanenza ha nei confronti di chi non risiede nella propria condizione naturale, e dall’altro l’importanza della Volontà attiva per il praticante che vuole purificarsi dagli istinti di fascinazione verso la manifestazione. La sinistra resta levata in aria invece, in segno di liberazione dall’identificazione col samsara, per chi ha realizzato la condizione rappresentata da Nataraja. In essenza, possiamo aggiungere che o il praticante si muove verso l’alto (gamba sospesa in aria) in direzione di una liberazione dalla condizione materiale rappresentata dal nano, oppure precipiterà inevitabilmente verso il basso, sempre più a fondo in uno stato di ignoranza e sofferenza: non esistono compromessi rispetto a questa realtà per chi percorre la Via. La posizione opposta di queste due gambe ci parla anche del divenire continuo a cui è soggetta la mente relativa: un corpo in movimento, che balli o cammini, avrà sempre un piede appoggiato a terra e uno levato in aria infatti. Questo movimento a cui siamo soggetti in quanto Io (pensieri ed emozioni) e a cui è soggetta la manifestazione esterna con cui ci rapportiamo (gli oggetti dei sensi) è incessante e determina la continuazione dell’esistenza condizionata. Se vogliamo che l’esperienza del samsara finisca, dobbiamo quindi smettere di muoverci, ovvero di “agire”. E’ lo sforzo la causa della sofferenza. L’azione della nostra mente relativa genera il movimento che caratterizza l’esistenza samsarica, la quale può finire unicamente con la cessazione dell’agire: il Wu Wei, lo stato di non-azione, che è lo stato naturale.

In questa raffigurazione, Shiva presenta poi quattro braccia, le quali reggono alcuni dei suoi attributi o formano delle mudrā: la mano sinistra posta dinanzi al lato destro del corpo è nel gesto dell’elefante (gaja-hasta indica la proboscide di un elefante, simbolo della forza con cui è possibile farsi largo nella giungla dell’ignoranza grazie alla danza liberatoria di Nataraja; inoltre questa mano è come se indicasse il piede sinistro levato in aria, simboleggiante la liberazione dai condizionamenti del samsara), mentre la mano destra è sollevata nel gesto di protezione (abhayamudrā invita il praticante a non avere paura, in quanto chi segue la via del dio danzante non deve temere le forze avverse dell’ignoranza; si tratta inoltre di un gesto di pace, indicante la quiete propria dello stato di consapevolezza); con la mano destra sollevata regge il tamburo primordiale (ḍamaru, a forma di clessidra come ad unire lo yang con lo yin), simbolo del “movimento”, mentre con la sinistra regge il fuoco (agni) simbolo della distruzione di ogni cosa, quindi della cessazione di ogni azione (il vuoto… il quale però non è da intendersi come semplice “assenza” ma piuttosto come presenza luminosa). Vediamo quindi come il fuoco rappresenta l’elemento attivo, mentre il ritmico suono del damaru simboleggia l’eterna alternanza degli opposti che caratterizza il movimento della manifestazione (elemento yin).

Da un lato quindi, agni è lo stato naturale, vuoto e consapevole, nel quale la manifestazione deve essere “consumata” (reintegrata), dall’altro notiamo come l’elemento yang della coppia risiede nella mano sinistra del dio. Secondo questa prospettiva è la “femmina” il principio attivo, il che ci parla della dinamica di creazione della realtà sul piano del Corpo e ci fornisce un’indicazione relativamente al tipo di energia che il praticante deve imparare a dominare per usufruire dello stesso potenziale creativo con finalità spirituali. Sul piano dell’Energia invece, vediamo come la creazione della realtà dipenda più semplicemente dalla combinazione della “luce”, simboleggiata dal fuoco, e del “suono”, simboleggiato dal damaru. Tutta la manifestazione è costituita, in essenza, da questi due elementi.

Se la simbologia relativa alla posizione delle gambe di Nataraja è legata alla dimensione del “due” (lo yin e lo yang), le braccia del dio rappresentano i quattro elementi Terra, Acqua, Aria e Fuoco. Il quinto elemento, lo Spazio, è legato alla potenzialità liberatoria della danza di Shiva, e cambia a seconda di che tipo di Via è percorsa dal praticante. Avvinghiato docilmente al braccio destro (attivo) del dio troviamo un cobra (lo stesso che ancora si dibatte nella mano sinistra, passiva, del nano calpestato), il quale si stende fino a toccare il cerchio di fuoco: la dimensione mentale relativa è quindi reintegrata nella condizione divina, al contempo vuota (il cerchio) e consapevole (il dio danzante). Rispetto ai diversi lati del corpo a cui si lega il serpente, possiamo notare come se si è in una posizione interna attiva rispetto alla mente relativa (simboleggiata dal braccio destro che indica al devoto di non aver paura), quest’ultima sarà mansueta e docile (uno “strumento” quindi), mentre se si mantiene una posizione di passività rispetto ad essa, non potremo che essere noi in sua balia (il serpente che si agita nella mano passiva del nano). Chi controlla il “serpente” (la corrente mentale collettiva che genera la realtà così come la conosciamo) dispone di un potere infinito sulla manifestazione relativa. Il cobra rappresenta anche la “forza divina”, quindi l’energia creatrice, femminile, che in “natura” riproduce l’esistenza materica e che è quindi causa primaria dell’esperienza di condizionamento che ordinariamente sperimentiamo. E’ interessante notare come questa forza si muova dal principio consapevole (Nataraja) verso il principio yin (il cerchio), mostrandoci qual è la direzione (“contro-natura”) che essa deve prendere nella pratica affinché il praticante pervenga alla Liberazione (riunificazione della dualità).

Il dio leggermente sorride (la sua è una danza di beatitudine) e il suo viso presenta tre occhi: i due comuni rappresentano la condizione duale e il terzo lo stato naturale. Nell’orecchio sinistro porta un orecchino di forma circolare, mentre nel destro il lobo bucato è vuoto, facendogli così assumere una forma allungata simile ad un pene: l’ennesimo elemento di complementarietà degli opposti presente nel simbolo. I capelli aperti attorno alla sua testa, agitati dal movimento della sua danza, presentano 12 ciocche a destra e 12 a sinistra, di cui 22 (11 per lato) raggiungono il cerchio di fuoco, e 2 (una per lato) si rivolgono invece verso l’interno (il 2, la consapevolezza che deve tornare in sé stessa invece che perdersi nella manifestazione). Essi rappresentano il fiume Gange (la cui personificazione dalla coda di serpente, la dea Ganga, è riportata spesso fra di essi), simbolo della molteplicità (22 ciocche… 2 volte 2). E’ interessante notare come nel mito il Gange (la manifestazione relativa) abbia la propria origine in “cielo”, e come parallelamente in questa rappresentazione sia simboleggiato dai capelli, i quali ovviamente originano dalla testa di Shiva, ovvero il principio consapevole… la mente! Quest’ultima non è altro che la rappresentazione del processo di creazione della realtà sul piano dello Spirito. Dodici ciocche, a destra e a sinistra, come dodici sono le case zodiacali che racchiudono il firmamento. Sopra la testa troviamo un pavone, che in sé simboleggia la forza di fascinazione propria della manifestazione relativa. Il fatto che stia sulla testa del dio ci parla così dell’avvenuta reintegrazione di quest’ultima nella vuota consapevolezza del praticante. Inoltre, il pavone rappresenta anche lo stato di consapevolezza primordiale (lo stato naturale) in quanto sulle sue piume ritroviamo quello che è il simbolo del sole (un “punto” situato al centro di un “cerchio”), il quale può anche essere letto come un “occhio”, sempre col medesimo significato. Intorno alla vita di Nataraja troviamo una sorta di fascia (il cordone della vita indossato dai brahmini, il quale è composto da 3 fili stretti da un nodo particolare che simboleggia la Trimurti, quindi la reintegrazione dei Tre Principi Essenziali: lo stato naturale) che si svolge alla sua sinistra fino a raggiungere il cerchio di fuoco: essa presenta una forma ondulata simile ad una colonna vertebrale, e verso la fine si dipana in due parti distinte, le quali sembrano richiamare ida e pingala, i due canali energetici che si incrociano più volte lungo la Sushumna (Corrente Energetica Principale), mentre risalgono verso il Chakra della Corona. Questo è un chiaro riferimento alle specifiche caratteristiche della pratica alchimica propria della tradizione induista.

In sintesi, possiamo vedere come tale “fascia” non sia altro che un cordone ombelicale atto a collegare la figura del dio danzante al cerchio, simboleggiante il grande vuoto originario. Sul livello del Corpo vediamo così come sia la “femmina” (il vuoto, rappresentato il cerchio) a ricoprire il ruolo creativo, e quindi attivo: è la “madre” che dà la vita infatti, anche sul piano della materia, e in questo modo viene espressa simbolicamente la separazione del principio consapevole dal vuoto primordiale, e la conseguente caduta dello stesso nella condizione di passività propria dell’esistenza samsarica. Sul livello dell’Energia tale simbolo ci parla invece di come, tramite la pratica alchimica legata alla Corrente Energetica Principale, il praticante (il dio danzante, adesso principio yang) possa riunificare sé stesso, come pura consapevolezza, al vuoto primordiale (il cerchio di fuoco, che in questo caso assume una valenza passiva, yin), muovendosi in direzione contraria rispetto a quella propria della natura relativa. Sul livello dello Spirito invece ritorna la simbologia del cordone ombelicale ma con un significato ben diverso: la consapevolezza (Shiva) e il vuoto (il cerchio) non sono mai stati separati. Non avviene nessuna scissione fra il principio yang e quello yin (livello del Corpo), e non c’è quindi nessuna riunificazione da compiere (livello dell’Energia): la consapevolezza e il vuoto sono inseparabili nella verità delle cose così come sono, proprio come il bambino nella pancia della madre è una cosa sola con essa.

La rappresentazione nella sua totalità si adagia su di un fiore di loto aperto, a testimoniare che si tratta di una manifestazione propria della dimensione pura della mente.

In India, Nataraja corrisponde alla costellazione di Orione, il cacciatore.